La parabola filosofica di Aldo Gargani

E’ scomparso Aldo Giorgio Gargani, docente di filosofia, filosofo, letterato. Ho seguito diversi suoi corsi: studioso di grande rigore, ancora un professore di quelli che mettevano soggezione, si scioglieva poi in un sorriso molto dolce ed esprimeva un sottile, profondo humor. Grande studioso di Wittgenstein, tra gli altri, una tra le sue battute preferite era: "Se volete una visione del mondo, andate al cinematografo".
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Manifesto – CULTURA & VISIONI 19.06.2009

La parabola filosofica di Aldo Gargani, di Alfonso M. Iacono
Studioso di Wittgenstein, è morto ieri a Pisa
Riflettendo su uno dei suoi libri certamente più significativi, Il sapere senza fondamenti, Aldo Giorgio Gargani diceva di rispondere sempre filosoficamente in modo ritardato alle sollecitazioni che venivano dalla società. Il sapere senza fondamenti, che recentemente è stato ripubblicato da Mimesis per la cura di Arnold Davidson, uscì nel 1975. Erano passati sette anni dal fatidico ’68, e questo libro metteva in discussione alcuni capisaldi, allora dominanti anche nella sinistra critica, del concetto di verità nel sapere e in particolare nel sapere scientifico. Gargani mostrò come in molti casi i discorsi sulla scienza fossero legati ai cerimoniali della comunità scientifica e all’immagine che questa si dava. Parlò di feticci epistemologici quando altri erano ancorati a un’idea forte – in realtà rigida – di sapere scientifico e di verità della conoscenza. Era ancora l’epoca in cui si dividevano uomini e idee in razionali e irrazionali, buoni e cattivi e naturalmente gli irrazionali-cattivi erano di destra. Circolava un notevole manicheismo, nascosto e nello stesso tempo giustificato dal fatto che si era contro, un manicheismo che il ’68 aveva in parte incrinato in parte irrigidito.
Alcuni anni dopo, nel 1979, Gargani curò per Einaudi un libro collettivo intitolato Crisi della ragione, che ospitava contributi di Bodei, Veca, Badaloni, Viano, Ginzburg tra gli altri. Anche questo volume creò qualche imbarazzo (persino tra gli stessi coautori). Eppure Gargani stava portando alle estreme conseguenze alcuni effetti liberatori del ’68 insieme a nuove interpretazioni del pensiero di Ludwig Wittgenstein, del quale era uno dei più illustri e importanti studiosi. Si deve anche a Gargani, sulla scia dei contributi di Brian McGuinnes che fu suo professore a Oxford, se Wittgenstein è passato da interpretazioni fondamentalmente neopositivistiche, in gran parte legate alla filosofia della scienza, a interpretazioni dove i giochi linguistici, le pratiche filosofiche, la psicologia, il gesto, l’arte si accompagnano al sapere scientifico e vi si intrecciano in una filosofia che Gargani leggeva come analisi delle possibilità.
L’ultimo suo scritto pubblicato si intitola infatti Wittgenstein: la filosofia come analisi delle possibilità. È un saggio uscito sulla rivista «Il pensiero» che sintetizza la sua precedente ricerca sul filosofo viennese edita da Cortina. Rifacendosi a una lettera di Wittgenstein del 1934 scritta al grande economista Piero Sraffa, suo caro amico nonché amico di Antonio Gramsci, Gargani sottolinea l’atteggiamento antidogmatico dell’autore del Tractatus – scrive – «la filosofia è una pratica simbolica che si assume e che poi si può rilasciare o abbandonare per poi riprenderla nell’attualità di un problema (si tratti dei fondamenti della matematica, dell’esperienza privata, delle menti altrui, della certezza, del rapporto semantico fra la parola forse, termine non denotativo, e la parola mela, termine denotativo) nel quale ci imbattiamo perché intriga, turba, sgomenta il nostro pensiero e magari anche la nostra vita».
Per Wittgenstein non c’è corrispondenza tra pensiero e realtà esterna, né, scrive Gargani, c’è un senso che diriga l’uso delle parole quando queste vengono applicate. Non c’è regola che sia causa dell’uso del linguaggio. La regola è un’ipotesi, che riguarda il comportamento degli uomini, ma non è la guida per le cose a cui gli uomini si applicano. «Una storia, una narrazione, oppure un’ipotesi: questo è ciò in cui può consistere l’espressione di una regola». Dal sapere senza fondamenti all’importanza della narrazione, Gargani ha percorso una strada che gli ha fatto riscoprire le teorie di Ludwig Boltzmann, ispiratore di Wittgenstein, il quale ha scritto: «Le nostre idee delle cose non sono mai identiche alla loro essenza. Sono solo immagini o anzi simboli, che rappresentano l’oggetto in modo necessariamente unilaterale, ma non possono fare altro che imitarne certi tipi di connessione, non intaccandone minimamente l’essenza».
Gargani ha praticato queste idee, per esempio, in Sguardo e destino, dove la narrazione, la messa in gioco del proprio Io, la riflessione esistenziale si intrecciano per formare un’esperienza filosofica. Ha anche collaborato con Claudio Proietti per una performance filosofico-musicale sulla Vienna di fine secolo.
Qualche anno fa Giorgio aveva deciso di andare in pensione. Poi se ne pentì. Gli mancava il rapporto con gli studenti. Tornò a insegnare negli ultimi anni, molto felicemente, senza dovere più subire l’affastellersi delle questioni burocratiche. Forse in questi ultimi anni, liberato dal peso accademico, ha potuto esprimere fino in fondo il suo piacere di fare filosofia, condividendo con chi gli è stato vicino questo gioco che qualunque rappresentazione o qualsivoglia narrazione non può descrivere né fare rivivere. 

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